Un fulmine.
Si è abbattuto un fulmine nerazzurro sulla Serie A e ha squarciato un cielo che aveva colori di una foto degli anni ’50.
Entusiasmante, questa la prima parola che viene in mente ripensando al percorso – tanto deriso e bistrattato – dell’Inter in versione 19/20/21, un’unica mega stagione divisa arbitrariamente in due. Un po’ come il giro di chitarra di Thunderstruck: un qualcosa di indescrivibile per quanta carica trasmette, un’estasi che culmina in un esplosione. Come un fulmine, come l’Inter di Antonio Conte.
Il boato iniziale è stato frainteso, o forse percepito flebilmente perché più distante, ma a poco a poco il boato si è sempre fatto più fragoroso e spostarsi è stato pressoché impossibile.
A uno a uno tutti quelli sul cammino sono stati folgorati dalla tempesta perfetta messa in atto dai nerazzurri guidati in campo dalla LuLa che nonostante l’assonanza con la Luna ha avuto i contorni sempre più definiti di un ciclone inarrestabile che fanno urlare “si salvi chi può”; da un Barella che ha viaggiato più veloce della luce lungo i cavi dell’alta tensione; da un Hakimi che è perfetta reincarnazione della saetta su quella fascia destra.
Una tempesta perfetta perché a manovrarla c’è stato un condottiero che ha mosso clamorosamente tutti i fili, anche quelli più labili venendo poi ripagato dal destino: Perisic, da esodato è diventato perno; Brozovic la tensione elettrica non l’ha mai fatta calare; la difesa che è stata un bunker anti-uragano perfetto, per la sfortuna degli avversari. E poi Eriksen, il filo più labile di tutti a detta di tutti, che è finito sul tabellino nei momenti che più contavano e che, ironia della sorte, ha segnato il gol Scudetto.
Un fulmine a ciel sereno. Un qualcosa che sai che puoi capitare, ma a cui non sai come reagire.
Un po’ come questa Inter che sai perfettamente come ti colpirà, ma non riesci a fermare. Puoi studiarla quanto vuoi, sai perfettamente come uscirà quel pallone, come ti avvolgerà da parte a parte, ma non puoi frapporti se non per un istante e senza nemmeno troppe velleità.
Non c’è via di arginare quando un fulmine si abbatte, né la velocità di esecuzione, né la potenza con cui lo farà. E sebbene tu sappia scientificamente il processo che porta a ciò, non c’è altra soluzione che non sia sperare che faccia meno danni possibili. E allora se ti va bene si fa del male da solo perché è un fulmine dalle fattezze umane, ma se tutto va come deve andare puoi solo guardare e apprezzare.
E quando si apprezza un fulmine se non di notte? Quando risalta il bagliore di un fulmine se non in mezzo al blu e il nero?
In nessun modo, era tutto già scritto, ci si è dovuti godere solamente il percorso nell’attesa che il fulmine si abbattesse definitivamente su questo campionato, su questa Serie A. Anche se la natura umana fa sempre vivere nel dubbio, ma questa volta ogni dubbio è stato risolto.
E anche la squadra più bipolare di sempre è riuscita ad avere un solo verso, un solo senso univoco: come quello di un fulmine che dall’alto si abbatte sulla terra.
E da quella terra, adesso, non resta che alzare al cielo nerazzurro il trofeo tanto atteso da tutti, specialmente da chi in questi undici anni sola non l’ha lasciata mai.
Sedetevi coi vostri cari, fissate le lancette dell’Orologio e godetevi il fulmine che si è abbattuto su questo campionato.